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Non ho problemi di comunicazione

Un romanzo di Walter Fontana

Non ho problemi di comunicazione (copertina libro)

Titolo: Non ho problemi di comunicazione

Autore: Walter Fontana

ISBN: 88-17003212

pagine: 284

prezzo: euro 14,50

Editore: Rizzoli

Collana: Scala. Sintonie

Anno: 2004

La comunicazione: il lavoro che oggi tutti fanno anche senza rendersene conto. Un anno nella vita di uno che ha circa sei miliardi di colleghi.

Un ritratto tagliente e ironico di Milano

Se avete vissuto almeno un po' in quella che, negli anni '80, era chiamata la "città da bere", o ci andate abbastanza spesso per lavoro, potrete gustare appieno questo ironico e tagliente ritratto di Milano e soprattutto della milanesità di inizio terzo millennio, intesa come modo di parlare e di pensare, comune a tutti quelli che ci vivono (che siano nati all'ombra della Madonnina o altrove non importa: la milanesità è contagiosa e non dà scampo). Milano, capitale produttiva non più di beni tangibili, ferrosi, tessili, ma di tutto ciò che - dalla moda alla pubblicità, passando per l'editoria e, perché no, il web - ha valore soprattutto per quell'aura che abili venditori di fumo e cuochi d'aria fritta hanno saputo creare intorno. Capitale dell'economia dell'immagine, dove i migliori sono quelli che sanno vendersi meglio, dove ciò che conta è l'apparire anziché l'essere. Nulla di nuovo, è la realtà in cui viviamo. Ma ciò che rende notevole questo romanzo è l'essere raccontato con occhio impietoso dal di dentro, da un (abile) venditore di parole per professione, un narratore che avevo già avuto modo di apprezzare nel suo fortunato L'Uomo di marketing e la variante limone.
Ma, proprio per la stima che nutro nei confronti dell'autore, non posso esimermi dall'essere tagliente anch'io, disturbata, come sempre mi capita, da minuzie quali i trattini presenzialisti che si ostinano a infilarsi anche quando non devono esserci, o dépliant che si rifiuta di indossare l'accento come un ragazzino capriccioso, o da un impianto narrativo solido, pur con alcune (evitabili) sbavature. A questo punto è necessaria una piccola digressione: il compito di redattori e correttori di bozze non è quello di compiacere il bravo autore intervenendo solo sull'evidente errore di battitura, ma quello di collaborare attivamente alla realizzazione di un buon prodotto, segnalando sviste e imprecisioni, anche a costo di irritare la suscettibilità dell'autore (ma, per esperienza, so che più gli autori sono bravi e noti, più sono grati a redattori attenti).

Ma torniamo al romanzo: c'è dentro tutta la Milano e il mondo della comunicazione, con i suoi vezzi (e vizi) linguistici: manca solo (grazie, Fontana!) il tipico "piuttosto che" usato in senso contrario alle regole a al buon senso della lingua italiana. A partire dal personaggio di Marali, il boss del protagonista, che si esprime usando solo nomi e concetti. Parla per allusioni, per dare l'impressione all'interlocutore di essere "uno che sa". Ma è solo un trucco, un modo di confondere il malcapitato di turno (vizio classico, da Azzeccagarbugli ai giorni nostri). Se sapesse davvero ciò di cui parla o a cui allude, riuscirebbe a formare frasi di senso compiuto, composte da soggetto, verbo, complementi, aggettivi, preposizioni, articoli e avverbi, anziché infilare un sostantivo dietro l'altro. E il bravo Fontana lo sa e riesce a delineare i personaggi anche grazie al loro personalissimo modo di esprimersi.
Insomma, un libro godibilissimo, da leggere tutto d'un fiato.