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La chiave dei sogni

Magritte prosegue nella sua opera di spiazzamento della denotazione in La clef des songes, del 1930, che si presenta nella classica ripartizione, ancora una volta, del sillabario: divisa in riquadri, uno per ogni oggetto (per essere precisi, una per ogni immagine di un oggetto) che però è accompagnato da un titolo che non è in alcuina relazione - almeno apparente - con l'oggetto raffigurato. L'immagine di una scarpa, per esempio, è accompagnata dalla didascalia "la luna" (sempre nella disarmante ingenuità della calligrafia da sillabario).

C'est avec des mots familiers que des titres son donnés aux images, mais les mots cessent de demeurer familiers en essayant de nommer les images de la ressemblance

ci avverte Magritte. Non dobbiamo dimenticare che il titolo del quadro è La chiave dei sogni: questi oggetti appartengono alla dimensione onirica, e nel sogno io posso vedere Luigi sapendo che si tratta di Pietro, l'immagine può non corrispondere all'oggetto reale. Non sono da cercarsi, a parer mio, nessi logico-consequenziali. Ecco cosa afferma ancora l'artista belga:

L'art de peindre mérite vraiment de s'appeler l'art de la ressemblance lorsq'il consiste à peindre l'image d'une pensée qui ressemble au monde: ressembler étant un acte spontané de la pensée et non un rapport de similitude raisonnable ou délirant.

La relazione fra i due diversi interpretanti (verbo e icona) cessa di essere metonimica, come nel sillabario, per diventare metaforica, poetica. Afferma Rubin (1972):

I processi delle immagini magrittiane sono analoghi alla poesia, ma le immagini non sono traduzioni di configurazioni verbali.